Latte è latte: l’innovazione non deve confondere

In un’epoca in cui l’innovazione nel settore alimentare avanza a ritmo incalzante, l’industria lattiero-casearia si trova a fronteggiare una sfida epocale: difendere l’identità delle proprie denominazioni. Una questione che va ben oltre le parole, toccando i nodi centrali della trasparenza verso il consumatore, del rispetto per la tradizione e della coerenza normativa a livello globale. 🧀🌍

L’International Dairy Federation (IDF) ha rilasciato un position paper ufficiale che riporta al centro dell’attenzione una questione fondamentale: il rispetto degli standard internazionali per l’uso dei termini lattiero-caseari, in particolare quelli sanciti dal Codex General Standard for the Use of Dairy Terms (GSUDT – CXS 206-1999).

🌱 L’onda dell’innovazione… e i suoi limiti

Tecnologie come la fermentazione di precisione, la coltura cellulare o la plant molecular farming stanno rivoluzionando il modo in cui si producono alimenti. Si parla sempre più spesso di “latte coltivato”, “formaggio vegetale” o “yogurt sintetico”, ma queste denominazioni – se non accuratamente normate – rischiano di generare confusione profonda.

L’IDF non è contraria alle innovazioni, anzi: riconosce che possano rappresentare opportunità importanti per la nutrizione globale e per la sostenibilità. Tuttavia, ribadisce con fermezza che i termini “latte”, “formaggio”, “panna” e “yogurt” sono da riservare esclusivamente a prodotti ottenuti da secrezioni mammarie di animali da mungitura.

Come si legge nel documento:

“Un prodotto che non è latte, un prodotto lattiero-caseario o un prodotto lattiero-caseario composito non deve utilizzare alcun termine che suggerisca una relazione con tali categorie.”

🔍 Il consumatore ha diritto a chiarezza

Alla base di questa posizione c’è un principio semplice e solido: tutelare il consumatore. Chi acquista ha diritto a un’informazione chiara, trasparente e non fuorviante, specialmente in un mercato sempre più complesso.

Il rischio, secondo l’IDF, è che l’uso improprio di termini tradizionali per prodotti ottenuti in laboratorio possa creare ambiguità sull’origine, sulla natura e persino sulle qualità nutrizionali dell’alimento. Il consumatore potrebbe essere indotto a credere di acquistare un prodotto naturale, quando invece si trova di fronte a un derivato tecnologico o biotecnologico.

Non è una questione di chiusura verso il futuro, ma di correttezza: l’etichettatura chiara è il fondamento di pratiche commerciali leali e della tutela della qualità percepita dei veri prodotti lattiero-caseari.

📘 Il latte secondo il Codex

Per chiarire ogni dubbio, il Codex Alimentarius, che rappresenta il riferimento internazionale per la sicurezza e la corretta denominazione degli alimenti, definisce il latte come:

“La secrezione mammaria normale di animali da mungitura, ottenuta da una o più mungiture, senza aggiunte o sottrazioni.”

Qualsiasi prodotto che non provenga da questo processo – anche se ne simula il profilo chimico – non può essere chiamato latte.

Anche l’aggiunta di diciture come “a base vegetale”, “alternativo” o “coltivato in laboratorio”, pur se accompagnata da disclaimers, non legittima l’uso dei termini lattiero-caseari.

🧭 Un appello alla coerenza globale

Con questo documento, l’IDF lancia un chiaro invito ai legislatori di tutto il mondo: armonizzare le normative locali con gli standard del Codex. Una richiesta rivolta non solo ai governi, ma anche a tutti gli operatori della filiera alimentare. Serve coerenza, serve una visione condivisa e serve soprattutto un linguaggio chiaro, per non smarrire un patrimonio culturale e alimentare che si è costruito nei secoli.

🛡️ Tradizione e innovazione: alleati, non rivali

Il dibattito su questi nuovi alimenti è solo all’inizio. La sfida sarà quella di coniugare il rispetto delle regole con la voglia di esplorare nuove strade. In quest’ottica, proteggere le denominazioni tradizionali non rappresenta un ostacolo, ma una garanzia di qualità, identità e trasparenza.

La posizione dell’IDF, in fondo, invita tutti a non dimenticare che la chiarezza è un valore condiviso. Innovare non può significare confondere. E chiamare “latte” ciò che non lo è… non rende giustizia né al progresso, né alla storia.

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